Mentre gli studenti e i lavoratori si apprestavano a mettere in scena una ipotesi di rivoluzione, sulle spiagge milioni di dita scrivevano HO SCRITTO T’AMO SULLA SABBIA.
Che fine hanno fatto quelle istanze di libertà? E quelle fabbriche imbandierate? E tutti quei giovani che in testa ai cortei coniavano slogan inarrivabibili? Di alcuni si sa, si conosce la loro storia. Di molti si sa solo individuare qualche traccia: qualcuno ha preso strade indiane, qualche altro ha studiato, bene, e ha raggiunto mete professionali. Di certo in molti sono nostalgici. Per fortuna ci sono stati anche gli Squallor: hanno semplicemente dedotto che dopo il ’68 venne il ’69.
Ho scritto t’amo sulla sabbia fu un grande successo di due napoletani.
Da Wikipedia:
Francesco (Franco) Romano (nato a Napoli il 26 luglio 1946) conosce Francesco Calabrese, che tutti chiamano Franco (anche lui napoletano, nato il 10 marzo 1943) durante una vacanza ad Ischia nell’estate del 1966.
Fanno parte di una compagnia in cui ci sono ben 8 ragazzi che si chiamano Franco, ed una loro amica francese li numera per distinguerli, Calabrese è Franco I e Romano Franco IV. Questo aneddoto fornirà in seguito alla casa discografica lo spunto per il loro nome d’arte.
I due hanno avuto esperienze in vari gruppi, Calabrese ha anche suonato spesso nei locali frequentati dai militari americani; sono entrambi amanti delle sonorità d’oltreoceano, di Bob Dylan e Simon & Garfunkel, per cui iniziano a suonare insieme e a comporre canzoni, apprezzate dagli amici che li spingono a provare a cercare una casa discografica.
«Ho scritto t’amo sulla sabbia
e il vento poco a poco
se l’é portato via con sé…»
(Da Ho scritto t’amo sulla sabbia)
L’immagine:
DE AGRESTE RIVOLUZIONE, murale a Castrovillari; scatto, sviluppo negativo e positivo di Alessia e Michela Orlando, progetto AMO. Pellicola Ilford.
È anche nella propria pagina Flickr.
Lontano ’68.
Evelina Bourbon era una vera maledetta rogna.
Con lei, ho scritto t’amo sulla scabbia.
Evelina era astemia, tutti lo sapevano. Le attribuivano la capacità di saper essere fuori di testa, senza alcool.
Già,era astemia.
Solo una volta, una fetidissima notte di luglio,si bevve un quarto.
Franco IV.
Intanto Franco I se l’era portato via il vento.
A folate,che io sabbia.
Il vento … fumo negli occhi e lei sbottò: Occhio per occhio dentice per dentice.
Laila Zupperup aveva passato un’esistenza a potare.
Quando poteva,potava.
Quella notte sulla riva sinuosa, con una luna così sulfurea da farti supporre un filarino con il diavolo della rivolta stellata, Laila incise la frase più bella.
“Ho scritto ramo sulla sabbia”.
Poi si lasciò andare mollemente , preda da bagnasciuga.
I riflessi del reflusso lunare conferivano alle sue gote un gradevole colore di passato di verdura.
Potage,per lei che potava.
Tutto era armonia fruibile e perfino l’acqua del mare mi sembrò potabile.
Le labbra di Laila sapevano di potassa.
Di sapone di Marsiglia,di metallo alcalino.
A proposito,vi ho mai raccontato di Al Calino,il mio amico gangster?
Melassa, nu me lassà, così diceva Al Calino quando aveva le pile scariche.
Lei nicchiava e più lei lo faceva più lui l’adocchiava. Cicisbeo di corte, corto, forse, ma ai vertici per sensibilità amorosa. Fremeva e lei lo respingeva: “due poli simili si respingono” gli disse con sguardo arrogante.
Lui, piegò il suo. Ammise, tra sé e sé, che era vittima della sua natura.
Concluse: “Al Calino, chi colpa suo male pianga sé stesso.”
Al Calino aveva un fratello buono.
Al Abelle.
Laila Zupperup adorava potare a testa in giù.
Capotava,per intenderci.
Al Abelle,nato settimino,cadde accidentalmente in un tino di melassa.
Facendola in barba al cane da guardia,lo stordito Rintintino.
Ci stette una settimana.
Forse troppo.
Ma sua mamma si distraeva spesso sull’ottomana.
Facendosela con Sudoku.
Qualche volta,Sottodoku.
Odiava la monotonia nelle posizioni.
Sudoku e Sottodoku erano gemelli.
Domatori dominatori.
Dai leoni ai lenoni.
Gemelli romantici.
Avevano scritto t’amo sulla gabbia.
Al Abelle, da bambino, era amico di Al Apollo: due tipi leggerini che andavano a galla anche senza nuotare. Ogni tanto giocavano a palla.
Erano tremendi, da soli, in coppia tremebondi, senza offesa per l’ex ministro che pure lui pare provenga da una famiglia ottomana. Tutti, perplessi, in parlamento, si ostinavano a contare le sue mani. I conti non tornavano, ma di mani ne aveva due. Amava agitarle a maniche larghe.
Quando Al Abelle cercò di mandare a memoria la nota:
Apelle, figlio di Apollo
Fece una palla di pelle di pollo
Tutti i pesci vennero a galla
Per vedere la palla di pelle di pollo
Fatta da Apelle figlio di Apollo
Al Apollo si annoiava giocando a Risiko con i suoi sette nipoti con sette sorelle.
Già, Al Apollo.
Un gran vacanziere.
Come quel pesagrammi del suo amico,Al Atollo.
Due instancabili viaggiatori.
Da corriera corallina.
Abelle,figlio di Atollo
fece un corallo da appendere al collo.
Tutti i mercanti vennero a galla
per vedere il corallo da mettere al collo
fatto da Abelle figlio di Atollo.
Visto poi il prezzo
a comprarlo eri un pollo.
Era un adorabile scioglilingua.
Scritto dalle sclerotico Benny Piemonte.
Uno sciogliLanghe.
Ai tempi, quando Berta si defilava, si usava andare a Porto Franco I.
Non pagavi dazio sulla sabbia.
E a Porto Franco IV non pagavi dazio sui carichi delle parole t’amo.
Una pacchia.
Poi il vento l’ha fatta da padrone.
Vento ladrone.
Era bello Al Apollo e intonso come mamma lo fece.
Per questo tentarono di sequestralo.
Furono sette ladroni che saltarono all’unisono su stette latrine, in groppa ai loro sette cavalli, che pure essi saltarono e si esaltarono, senza esalare l’ultimo respiro, sulle latrine.
Fecero un rumore infernale e così gli diedero modo di andarsi a nascondere sfacciatamente, senza un briciolo di vergogna.
Ebbe un sussulto quando capì che quelli, per andarsene da dove erano venuti, avevano percorso una superficie. Si ricordò di un suo lontano parente con cui si era diviso il sonno, Al Anassagora, che sosteneva la teoria dei semi infiniti, particelle originarie divisibili all’infinito. Quindi, pensò, saranno ancora in viaggio. Senz atemere l’aporia prese a rincorrerli.
Al Anassagora era del gruppo dei pluralisti.
Con Al Anassagoma.
Cenavano alla trattoria dei Semi Infiniti.
Quelli di Moon Girasole, dei Semi Nole.
Ogni tanto ci andava pure un tipo strano, tal Al Munch, della tribù degli Assa Tanati. Minacciava, sovente: io Urlo, io Urlo, io Urlo. Divenne afono.